12 aprile – 2 maggio 2009

CINO BOZZETTI
Incisore 1876 – 1949
“La poesia dell’acquaforte nel novecento italiano”
a cura di Karin Reisovà e Livio Girivetto

Ripensando Cino Bozzetti di Pino Mantovani

Sfoglio “L’opera incisa di Cino Bozzetti”, pubblicata da Angelo Dragone nel 1950, tuttora fondamentale non solo per l’informazione ma per l’acutezza partecipe della lettura. Il volume, con dedica manoscritta dell’autore “Agli amici carissimi Nella e Ugo Malvano, in memoria dell’indimenticabile Cino”, me lo hanno prestato i figli di Nella e Ugo, mettendomi a disposizione anche le lettere di Cino a Ugo e Nella e, in fotocopia, quelle di Ugo e Nella a Cino conservate nell’Archivio Bozzetti di Borgoratto. In diverse occasioni mi è capitato di consultare questo materiale, trovando ogni volta motivi di interesse e di approfondimento.
Mi sovvengono i giudizi su Cino Bozzetti di artisti differentissimi: il nostro VanGogh, dicono Italo Cremona e Mario Davico; il miglior incisoremoderno inItalia, commenta Giorgio Morandi. Ricordo che nella casa di Felice Casorati a Pavarolo sono esposte numerose grafiche di Bozzetti, a prova di una stima riservata tra gli incisori solo allo xilografo Galante e all’acquafortista Calandri; che proprio Calandri teneva nell’ingresso di casa una stampa di Bozzetti, naturalmente di quelle tirate dall’artista dove non mancano “errori” e riprese a penna . Della intelligenza dei buoni artisti, credo si debba raccogliere qualsiasi traccia, per fare una storia concreta e centrata. Quando gli artisti si scambiano in varia forma pensieri e giudizi sull’arte – non di rado spietati – insieme con opere e progetti, vale decisamente la pena di prestare attenzione, in quanto è probabile che si aprano spiragli di intima comprensione che l’approccio dall’esterno, per quanto informato ed acuto, non riesce a cogliere. Tanto più in questo caso, poiché tutti gli artisti nominati , sebbene diversi per età, formazione e scelte stilistiche, furono profondamente convinti che l’arte moderna, per non scadere in esibizione d’inutile abilità o narcisistica ripetizione, ha bisogno di larga conoscenza , di severità critica, di persistente verifica nel rinnovarsi della ricerca . La “modernità” è proprio questo: conoscenza, coscienza e responsabilità del produrre e del prodotto. Così si riduce la distanza fra chi operi e chi interpreti, al punto che si possono addirittura invertire le parti: che un artista come Bozzetti impieghi più tempo a meditare arte che a costruirla materialmente, essendo il fare solo l’ultima fase di un processo immaginativo e di elaborazione concettuale; che un critico come Piergiorgio Dragone, erede del padre Angelo, riesca a trascrivere l’emozione dell’artista. Usando parole puntuali come queste: “E’ quasi impossibile avere tra le mani un …foglio [di Cino] e resistere alla tentazione di sfiorarne la superficie con le dita .Sull’incavo profondo lasciato impresso nella carta dalla latra, l’inchiostro è talmente rilevato – allora denso e raggrumato, quanto ora secco ma ancor pieno – che l’incisione sembra essere uno straordinario bassorilievo. La forte inchiostratura che dà spessore ad ogni segno è uno dei motivi di fascino e valore qualitativo degli esemplari stampati dall’artista. Segni incisi a fondo, grazie alla morsura lenta e netta del percloruro di ferro: tanto che viene da girare il foglio e osservarne il calco, come a secco, fin sul retro della carta: dove restano gli aloni giallastri e oleosi dell’inchiostro, solcati dalle linee più profonde dei rami degli alberi…[per esempio]”
Mi concederete che la vicinanza, l’adesione del lettore/interprete all’opera è, nel brano citato, così intima e compromessa da evocare o addirittura ricalcare il gesto e la traccia dell’artista sulla lastra e sulla carta.
Quanto alla distanza che un altro critico, Edoardo Persico, assunse all’inizio degli anni Trenta rispetto alla materia ed alla sua elaborazione, essa non è dissimile dalla distanza che l’artista ha bisogno di prendere nei confronti delle scelte e degli atti che costruiscono l’opera: è in quella distanza che il corpo si anima, che il gesto solitario, apparentemente ingiustificato, diventa segno di una convinzione profondamente radicata, “principio di dignità e coerenza”, modello di rigore “ di fronte agli estri e all’abilità degli intriganti, …alla disinvoltura degli improvvisatori”.
Nel dibattito, assai interessante, che Malvano e Bozzetti intrattengono attraverso gli anni Venti e Trenta sul rapporto tra meditazione e azione, Malvano difende l’importanza dell’azione che “esteriorizza, materializza il pensiero e lo rende più vero e più sottile”, che è più faticosa e “ quindi più elevata della meditazione che … spesso è fantasia solamente”; Bozzetti insiste sulla necessità della elaborazione teorica (filosofica e scientifica) per meritare oggettività all’immagine e permetterle di svilupparsi oltre il livello dell’intuizione e dell’impressione, anche a costo di ritardare gli esiti, perché solo la coscienza guadagna la genuinità, “mentre fare l’arte senza guida… solo per fare, seguendo a caso ciò che par meglio, porta fare un’arte incerta e spuria addirittura…”. Entrambi, però, sono convinti che “l’arte si fa nella testa e con la testa”, controllando con il cervello le bizzarre e piacevoli divagazioni del temperamento (esemplare in senso negativo il caso di Delleani, “un vero temperamento di artista… ma troppo poco cerebrale” e quindi mancante di sufficiente consistenza etica)
A questo punto, mi pare, abbiamo raccolto dati sufficienti, per capire la centralità dell’incisione nell’opera complessiva di Cino Bozzetti:

– l’acquaforte, come la tratta l’artista, è il linguaggio figurativo più semplice e pregnante (la mediazione di lastra e stampa, anziché esaltare, riduce qualsiasi tentazione di cucina o trucco);

– la traccia grafica è sicura (la vernice bituminosa induce il pittore ad agire senza ripensamenti, la morsura profonda stacca i tratti dalle parti risparmiate, l’inchiostratura marca il bianco e il nero, le carte sensibili “pittoricizzano” gli esiti senza bisogno di sottolineature “pittoresche”);

– la struttura pensata, per così dire, si identifica con il corpo materiale, ovvero lo scheletro con la polpa;

– la forte semplificazione dell’immagine, mentre contiene la componente naturalistica, esalta quella simbolica, senza che ne scapiti peraltro l’evidenza della rappresentazione.

– la certezza della traccia incisa nel metallo e la nitidezza della traccia stampata sulla carta sanciscono l’irreversibilità della decisione che ha generato il gesto.

Se dovessimo misurare l’incisione di Cino Bozzetti secondo le categorie di Florenskij, la dovremmo collocare dalla parte “luterana”, dove il sentimento – per.Cino il sentimento panico della natura – è fondato sulla ragione e sostenuto dal rigore.